Una delle invenzioni piú importanti è l’accumulatore, che permette di accumulare corrente continua. Si può facilmente costruire un accumulatore al piombo con due lastre di lamiera di piombo e un vaso di vetro per conserva. Coliamo le lastre, dello spessore di circa 4 mm, in uno stampo di gesso ed eseguiamo attraverso le stesse il maggiore numero possibile di fori da circa 5 mm, oltre ad un foro di 4 mm all’estremità della codetta. Nei fori di una delle lastre (lastra negativa) spalmiamo un denso impasto di litargirio (protossido di piombo) ed acido solforico diluito (1 parte d’acido solforico per 6 parti d’acqua) e nei fori dell’altra lastra (positiva) spalmiamo un impasto di minio ed acido solforico pure diluito. Maneggiare con prudenza l’acido solforico, che è caustico. Per diluire l’acido versare sempre l’acido solforico nell’acqua e mai viceversa.
Da un foglio di legno compensato ritagliamo un disco esattamente corrispondente al collo del vaso e nel centro del medesimo eseguiamo un foro da 10 mm e due intagli, a destra e a sinistra del foro, per il passaggio delle codette delle lastre. Immergendo il coperchio in paraffina fusa, lo rendiamo resistente all’acido.
Dopo l’asciugamento delle lastre, infiliamo le codette attraverso gli intagli (fig. 400); collochiamo il tutto nel vaso di vetro e ricopriamo il coperchio con uno strato d’asfalto fuso, dello spessore di 1 cm, chiudendo il foro con un tappo di legno. Dopo il raffreddamento, fissiamo ad ognuna delle codette ripiegate delle lastre di piombo un morsetto di collegamento e riempiamo il vaso con acido da accumulatori (acido solforico chimicamente puro, diluito 1:10), fino ad I cm sotto il coperchio. Alla chiusura del foro serve un tappo di gomma recante al centro un foro passante per l’uscita del gas.
Se adesso colleghiamo una sorgente di corrente continua da 3-4 V all’elemento (polo positivo collegato alla lastra con l’impasto di litargirio), la corrente trasforma, per elettrolisi, il litargirio in piombo puro (grigio scuro) ed il minio in biossido di piombo (bruno scuro). Due lastre così trasformate agiscono come una pila galvanica, ossia erogano corrente. Intanto la trasformazione chimica retrocede fino al ristabilirsi della situazione primitiva, sicché si deve ricaricare l’accumulatore.
La tensione d’un elemento è di circa 2 V e perciò la corrente di ricarica deve essere un poco maggiore (circa 3 V per elemento). Se questa corrente è molto elevata, occorre annullare l’eccesso di tensione con una resistenza preinserita, altrimenti sulla lastra si sviluppa il gas in modo così violento da espellere in breve l’impasto dai fori e curvare le lastre, sicché può prodursi un corto circuito. Con il nostro trasformatore e con un raddrizzatore possiamo facilmente ricaricare dalla rete luce fino a 5 elementi di questo tipo collegati in serie. Quanto maggiore è la frequenza di scaricamento e ricaricamento degli elementi, tanto maggiore è il consumo di corrente. Il caricamento va interrotto non appena si produce un forte sviluppo di gas. Allo stesso modo degli elementi di batteria, possiamo collegare in parallelo anche gli accumulatori, quando si debbano prelevare correnti d’intensità molto grandi.